Intervista a Marco fraquelli |
Perché a Destra di Porto Alegre? |
inserito da Polaris il 24 Dec 2006 Leggi il testo completo Commenti (1) |
Carlo Gambescia |
Gambescia, lei è uno studioso specializzato in una disciplina che un tempo sembrava esser territorio esclusivo degli intellettuali “progressisti” o comunque di sinistra: la sociologia. In che modo, secondo lei, oggi tale disciplina può aiutare anche chi non appartiene a quell’area politica a decifrare il mondo? Come ho già detto in altra occasione, discipline come la sociologia e l’economia, se “rettamente intese”, rappresentano le chiavi che aprono le porte di accesso alla Città dei Moderni… Può essere più chiaro? Certo. Meglio evitare equivoci. Vede, a destra, esclusa l’ala liberista e conservatrice, si è sempre partiti da un presupposto importante ma in certo modo generico: che l’ultima parola, proprio sul piano economico e sociale, debba sempre spettare alla politica, ovviamente nel senso alto della decisione. E che tutto il resto venga dopo, o che comunque possa essere delegato a tecnici di rango inferiore. Per farla breve: il politico decide, e chi è un gradino sotto deve uniformarsi, e in qualche modo, “concretizzare”. Ora, una visione del genere, che in assoluto non è sbagliata, può essere utile per conquistare il potere. Democraticamente s’intende. Però, poi, il vero problema è gestirlo… E allora? Accade, che per mantenerlo, ci si deve affidare ai quadri tecnici della precedente classe dirigente, oppure ai tecnocrati. Pensi a quel che ha combinato Alleanza Nazionale priva di tecnici propri e dunque costretta a imbarcare ex democristiani, ex socialisti, eccetera… Con risultati che sono sotto gli occhi di tutti. In concreto, l’economia (e non solo quella capitalistica) è fatta di uomini e idee, regole e istituzioni. E se si vuole gestirla adeguatamente, e per il bene comune, bisogna conoscerne il funzionamento sul piano strutturale e sociologico. Di qui la necessità di formare per tempo, capaci “tecnici” propri ( con conoscenze economiche e sociologiche). In grado di comprendere il funzionamento, e soprattutto la prospettiva sociale e politica, in cui va a collocarsi, nel nostro caso, l’economia capitalistica. E pertanto di non dare per scontato, anche prendendo provvedimenti congiunturali, di vivere in una specie di eterno presente. O, peggio, credere di essere alla guida di una macchina delle meraviglie (il mercato), che dopo un colpetto iniziale, proceda, miracolosamente, da sola… Può fare qualche esempio concreto? La prendo da lontano. L’Italia vanta i tre maggiori sociologi del XX secolo: Vilfredo Pareto, Gaetano Mosca, Roberto Michels. Bene, la lezione più importante di questi tre maestri è la seguente: in sociologia esistono costanti che noi possiamo ritrovare nelle società più diverse. Una di queste è la cosiddetta “legge” di circolazione delle élite dirigenti (politiche, economiche, culturali, sociali): le classi al comando non sono eterne, nascono e muoiono e si reggono, a un tempo, sia sulla forza che sul consenso, e comunque sul ricambio. La scienza politica americana su queste basi ha costruito la cosiddetta teoria dell’elitismo democratico, coniugando momento elitario e momento sociale, gerarchia e democrazia. Certo, facendo pendere l’ago della bilancia dalla parte della modernità illuminista e protestante… Dopo di che però sono state studiate la composizione sociali delle élite, le forme di conflitto, la trasmissione del potere sociale, eccetera. In Italia queste tematiche, e gli stessi nomi di Pareto e Michels, riapparsi dal nulla, negli anni Sessanta e Settanta, sulla scia delle “prodigiose scoperte” in campo politologico degli americani, e subito captate dalla politologia liberalconservatrice di stampo realista. Mentre, nel frattempo certa destra culturale missina e non, e questa è l’altra parte della storia, la più brutta, si scazzottava (spesso non solo in senso figurato) su come difendere meglio i “sacri” valori di Dio, Patria e Famiglia… |
inserito da Polaris il 02 Nov 2006 Leggi il testo completo Commenti (7) |